“Assemblare un pezzo di arredamento IKEA richiede una sorprendente quantità di tempo e fatica.”
Dan Ariely
Che cosa ti spinge a montare in macchina, percorrere diversi chilometri, entrare in un magazzino affollato, fare la fila alla cassa, caricare sull’auto ingombranti scatoloni, tornare a casa, armarsi di brugole, martelli, cacciaviti e parolacce, trascorrere qualche ora nell’assemblamento di un mobile del colosso svedese?
Certo, c’è l’aspetto economico, ma non è solo quello. La motivazione è soprattutto il senso di soddisfazione che deriva dal completare un compito.
Dan Ariely (professore alla Duke University), Michael Norton (professore dell’Università di Harvard) e Daniel Mochon (professore dell’Università Tulane) hanno chiamato l’eccessivo attaccamento che in genere proviamo per le cose che abbiamo costruito da soli come “IKEA effect” (“effetto IKEA”).
L’effetto Ikea sarebbe la gioia per l’orgoglio di aver completato un lavoro. Può essere imbiancare una parete di casa, riparare il giocattolo del figlio, terminare la scrittura di un libro, creare una parte di codice open source.
Ingvar Kamprad è stato bravo a capire questa nostra inclinazione, ma non è stato il primo.
Negli anni Quaranta la P. Duff & Sons lanciò sul mercato dei preparati per torte in scatola. Puoi immaginare il funzionamento: si apre la busta, si rovescia la polvere in una ciotola, si aggiunge dell’acqua, si mescola, si travasa il composto in una tortiera, si inforna a 180 gradi e, dopo 30 minuti ecco il dolce pronto.
Fu un fiasco.
Dopo alcune indagini di mercato l’azienda scoprì che le persone non acquistano il prodotto non perchè il gusto dei dessert fosse sgradevole. I consumatori percepivano le torte a cui bastava aggiungere acqua come quelle già pronte, senza dare la vera sensazione della torta fatta in casa, nonostante uscisse calda dal forno.
Sembra incredibile, ma il preparato per le torte non vendeva perché, richiedendo troppo poco impegno, era troppo facile da preparare.
Ma alla P. Duff & Sons non si diedero per vinti e, agendo in una direzione che sembrerebbe controintuitiva, agì per accontentare i consumatori. Come? Togliendo alcuni ingredienti dal preparato (uova, burro e latte), in modo andassero poi aggiunti a parte. In questo modo chi preparava il dolce si sarebbe sentito più coinvolto nella preparazione e soddisfatto del risultato, per l’effetto Ikea.
Come andò a finire? Le vendite decollarono.
Che insegnamento puoi trarre da questa storia? Puoi far sentire più partecipi le persone se, invece di dargli la “pappa scodellata”, lasci a loro alcune operazioni da compiere. Per esempio, puoi applicare questa cosa nel mondo del lavoro, nei compiti dei tuoi figli, oppure quando vuoi insegnare qualcosa.
Bibliografia sull’effetto Ikea
Dan Ariely – Perché. La logica nascosta delle nostre motivazioni (cit.)